| da il domani Emozioni al PalaDozza per l'ultima recita sul parquet di un grande della Virtus e del basket Gus, un addio tra quattromila amici Da Re Sasha a Messina, da Brunamonti a Villalta: e un palazzo pieno di Antonio Manco Tic Tic Tac. L'orologio della nostalgia batte dodici colpi. Non ore, ma anni. Che separano la Virtus di oggi da quella che per la prima volta portò Bologna sul tetto d'Europa. Un evento storico, con dieci protagonisti assoluti ed un condottiero che da oggi ha appeso ufficialmente le scarpe al chiodo, Gus Binelli. Per chi venisse da Marte, c'è una enorme canotta numero 11 a coprire la curva. Ed uno striscione "Una vita per la Virtus", che ricorda l'evento. Ore 21.14, si spengono le luci, i Forever Boys invogliano il pubblico all'applauso con il loro invito ritmato, Andrea Mingardi fa capolino dallo spogliatoio per aprire la serata straordinaria e accanto a sé vuole il "Nicolò Carosio della palla a spicchi", Gigi Terrieri. La sua voce dà il la all'ingresso di Zancanella e Lamonica, i fischietti che fischiarono il contatto più celebre di Basket City. Ed il PalaDozza vive il primo sussulto. Il bis pochi minuti più tardi, quando la passerella è tutta per Alberto Bucci, che entra accompagnato dalle note della Kinder Band, al rientro sulla scena musicale dopo dieci anni di silenzio. È lui l'allenatore dei Gus Friends, che mettono a referto i 211 cm di Ario Costa, «uno che ci ha fatto sempre soffrire» ed Antonello Riva «che invece ci ha fatto sempre morire». I decibel salgono con Serafini e Carera, Bonora e Bonamico, per esplodere quando Mingardi fa qualche passo verso l'angolo, verso la mattonella che ha reso famoso Renato Villalta, oppure scorge con la coda dell'occhio Alfredo Cazzola in prima fila e chiama l'applauso dei 4000 presenti. Rimane un posto vuoto, nelle squadre che si schierano a metà campo: è destinato a quel ragazzo con la faccia pulita che ci ha lasciato troppo presto, ricordato sui maxischermi con un canestro e dai suoi tifosi con il coro "Chicco Ravaglia è il grido di battaglia", oltre che con lo striscione "Uno di noi". Un attimo di silenzio, qualche gamba che trema, prima di scattare in piedi, decisa, per accogliere una delle personalità più indimenticabili della storia della Due Torri: Ettore Messina. Per lui, come per molti, il ricordo più bello di quell'annata ha il colore biondo platino dei capelli dei campioni d'Europa. Che forse ricorderanno anche il cubo dei cambi, tenuto nel dimenticatoio tanti anni, per riapparire questa sera. Altro stacco, leggero, per lasciar scendere il nodo alla gola, e poi il tridente che attacca le coronarie dei presenti: Alessandro Abbio, il Condor Sconochini e Le Roi Rigaudeau. Il palazzo viene giù, perché «è un po' come se fosse la partita di addio della Virtus della nostra generazione», commenta Picchio. Sembra il punto più alto del climax, ma sappiamo che non è così. Lo sanno tutti. Ed allora si attende con trepidazione il prossimo pezzo dell'indimenticabile puzzle, Rascio Nesterovic. Coro. Pausa. Il ricordo di una maglia. «La più giusta mai ritirata», quella di Roberto Brunamonti. E poi un altro numero magico. Il 5. Quello che fa venire la pelle d'oca e chiama un «Sasha Danilovic oh oh oh» che dura un minuto e continua a ritmo di banda. Lui, il padrone di casa, il festeggiato, arriva per ultimo, mezz'ora dopo l'inizio come tutti i grandi. L'affetto si fa pubblico in piedi, si fa emozione, si fa coriandoli. Augusto Binelli entra con la sua canotta numero 11 ed una smorfia che tradisce tutta la sua gratitudine per gli amici arrivati per salutarlo. «Uno di noi, Augusto uno di noi». Cala il sipario, non prima di un doveroso pensiero "a chi ha reso possibile tutto questo", l'Avvocato Gigi Porelli. L'unico, nel mondo del basket. Come il ricordo di quelle notti magiche, lontane 12 anni ed unite nella cornice del PalaDozza. Palla a due. Primo tiro dell'ex in pectore, Villalta guarda. Il ferro ha il volto cattivo. Ma Gus sorride. Grazie di tutto.
da il resto del carlino Partita fermata sull'ultimo canestro di Gus. E come regalo arriva una canna da pesca «E' la vittoria più bella che ho ottenuto a Bologna» Bologna - MANCANO 1'28" alia fine della partita. Augusto Binelli ha appena realizzato il canestro del 64 a 39, rispondendo alle prodezze dei figli: tripla del piccolo Thomas e canestro dall'angolo di Andrea. Si spengono le luci. La partita finisci lì. Gli organizzatori chiamano Augusto a centrocampo: a Binelli, appassionato di pesca, viene donata una canna. «Cambia sport», canta la curva, ma le lacrime scendono copiose. Le due squadre si stringono attorno a lui, Gus tiene la testa tra le mani, prima fissa il vuoto, poi il parquet. Piange Augusto: sono lacrime di gioia perché una festa così non se l'aspettava. E il discorso? Dimenticato, perché il nodo in gola gli impedisce di fare grandi proclami, ma la voglia di dire grazie a tutti c'è. «Gioco su questo campo dal 1979, ma una vittoria così bella non l'avevo mai ottenuta». Fa due volte il giro del campo, Gus, la sua favola da giocatore è finita. Tra pochi giorni sarà a Bormio per iniziare quella da allenatore. Prima, durante l'intervallo, c'è spazio per i premi: il primo è proprio de il Resto del Carlino. Ad Augusto vengono consegnati due quadri che contengono una lastra e una pagina speciale (edizione davvero straordinaria) dedicatagli dalla redazione sportiva.
da il resto del carlino In quattromila al PalaDozza per l'addio al basket di Binelli E da ogni angolo del mondo sbuca la Virtus dei trionfi Alessandro Gallo - Bologna AUGUSTO BINELLI chiama, BasketCity, quella virtussina, risponde presente. Ci sono quattromila anime bianconere al PalaDozza che sfidano il caldo per salutare un vecchio amico chiamato Gus che, all'età di 45 anni, decide di dire basta. La partita, ufficialmente, dovrebbe cominciare alle 21 ma, in realtà, si comincia solo alle 22. Il pubblico non si muove e non protesta: festeggia, piange, ride e canta. Si divertono come dei pazzi, prima ancora dell'inizio della gara, gli amici di Augusto che si ritrovano al piano di sotto. Là, nelle segrete di piazza Azzarita, dove si trovano gli spogliatoi, c'è tutta la storia bianconera dagli anni Settanta in poi. Sono venuti davvero tutti, chi dalla Spagna (Galilea) chi dalla Francia (Rigaudeau), chi dalla Slovenia (Nesterovic) e chi dalla Serbia, Sasha Danilovic, il più osannato, come sempre, anche se la festa è di Augusto. Sono venuti tutti per lui, per rendere omaggio a Binelli. Augusto gira con un foglietto bianco, stazzonato. S'è preparato un discorso per chiudere la serata. Lo sa ormai a memoria, ma ha paura di emozionarsi troppo. «Non posso nemmeno leggerlo - dice provando a scacciare la paura - dovrei mettermi gli occhiali e non farei una bella figura». Parte la prima risata, mentre poco distante Renato Villalta assicura di essere venuto con la celebre mattonella in tasca. Ci sono Ettore Messina e Giordano Consolini, allenatore e vice della Kinder dei miracoli, ma soprattutto due grandi amici. «SIAMO ANCORA una bella coppia - se la ridono prima di entrare - non sarebbe poi così brutto tornare a lavorare come una volta». C'è Sasha Danilovic, maestoso come sempre. Il PalaDozza esplode per lui come ai tempi dei tre scudetti consecutivi, tra il 1993 e il 1995, mentre i fiati della Kinder Band scandiscono i cori. Se la ride Rascio Nesterovic che riconosce l'arbitro Zancanella. «Ma lui è l'arbitro che fischiò il famoso tiro da tre più tiro libero». Era il 31 maggio 1998: data del celebre tiro da quattro di Danilovic. C'è Rigaudeau, che non ha dubbi. «Porto Bologna nel cuore. Ci sono tante cose che mi legano a questa città. Non potevo mancare». Mentre Andrea Mingardi prende il microfono per dare il via alla serata, c'è la prima ovazione per Alfredo Cazzola. Poco distante c'è Claudio Sabatini, l'attuale patron. Si piange quando, sul maxischermo, passano le immagini di Chicco Ravaglia. Tutti in piedi a cantare per Ettore Messina. Poi arriva lui, il numero 11, Augusto Binelli. Sono tutti lì per lui: la festa può cominciare con Gus che si guarda un po' stranito e un po' emozionato. Ma sarà vero che si ritira?
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